Archeologia nel vercellese

Per conoscere la nostra storia più antica, non ci sono documenti, non ce ne potrebbero essere, ma sono le pietre a raccontarci che nel nostro territorio vivevano i cacciatori del Paleolitico, l’età più antica della pietra lavorata. Una storia affascinante e quasi sconosciuta alla maggior parte della gente: sono pochi a sapere, per esempio, che le più antiche tracce lasciate dall’uomo in Piemonte sono proprio nel vercellese: parliamo di circa 150 mila anni fa. La scienza che studia questi segni lasciati sulle pietre dopo tanto tempo, è l’archeologia, praticata da pochissimi e per questo poco conosciuta, ma è l’unica che può spiegare le nostre radici più antiche e l’evoluzione dell’uomo che ha cambiato il suo sistema di vita, adattandolo ai mutamenti climatici e sfruttando le risorse del territorio. Non esistevano razze, discendiamo tutti da uno stesso ceppo che si è evoluto, né era un paradiso terrestre, poiché la vita era durissima e solo i più forti sopravvivevano, e la vita media era di 22 anni. A Trino,150 mila anni fa, sono passati gli Homo Erectus, che hanno scheggiato dei grossi ciottoli di quarzo. Quando gli Erectus si sono estinti, sono comparsi gli uomini di Neanderthal (60 mila anni fa). Nei pressi di Borgosesia, in un periodo di glaciazione, nelle grotte del monte Fenera, oltre ai resti dell’orso speleo, è stata ritrovata anche una mascella del rinoceronte di Merck, che aveva il pelo lunghissimo. Il massiccio del monte Fenera è formato alla base da rocce antichissime (200 milioni di anni), mentre il pianoro in vetta è formato da quello che un tempo era il fondo del mare antico. La storia dell’uomo, nell’ambito della storia della Terra, non rappresenta che un attimo. Tentando un paragone e ponendo la storia della Terra lunga un anno, la durata dell’uomo è niente: è comparso solo nell’ultimo secondo prima della mezzanotte. Gli uomini di Neanderthal hanno convissuto per qualche periodo con i Sapiens-Sapiens (dovremmo essere noi) e, anche se si fossero accoppiati con quelli di Neanderthal, non avrebbero potuto generare figli per l’eccessiva diversità biologica. Anche i Neanderthal si sono estinti lasciando la supremazia al Sapiens-Sapiens, che si sono sviluppati prima in Africa e poi in tutto il mondo, da un ceppo solo, senza razze. Da allora è trascorso così tanto tempo da far sì che, spostandosi di un solo metro alla volta nel corso di una generazione, l’uomo avrebbe avuto il tempo di compiere il giro del mondo. L’archeologia ci insegna a capire molte cose, le scoperte non sempre sono divulgate, per due motivi: non interessano a molti e poi ci sono sempre gli stupidi, in cerca di chissà quali tesori, e potrebbero rovinare tutto. L’archeologia, infatti, è fatta da professionisti, dotati di una pazienza infinita, che, con cazzuola e pennello, compiono studi stratigrafici. In pratica, il terreno di superficie è il più recente, mentre quello più profondo è il più antico.

Un breve cenno sui ritrovamenti archeologici avvenuti nel 2002, alla frazione San Damiano di Carisio. In un campo a sud dell’abitato, verso il torrente Elvo, sono emersi dei cocci di laterizi dalla forma strana, non presenti nei fabbricati del paese, le cui origini sono documentate dal 1041. Dalla terra arata erano emersi anche dei cocci di ceramica scura, pure questi mai visti. Non sapendo cosa rappresentassero, sono stati sottoposti ad un archeologo il quale ha esclamato: “Ma questi sono embrici romani e quella… quella è una ceramica dei Celti, che esistevano prima dei romani!” Dopo queste rivelazioni dell’archeologo, abbiamo iniziato a rintracciare e a raccogliere numerosi pezzi in superficie, senza mai scavare. Un giorno è stato ritrovato un sasso lucido, di una roccia non presente in zona. Il sasso lucido è stato esaminato da Domenico Molzino di Trino, esperto di archeologia, che aveva appena rinvenuto le sepolture della civiltà di Golasecca di Morano sul Po a Pobbietto. “Questo è un nucleo di selce, – ha spiegato Molzino. – Una selce che arriva dal Veneto. In tutto il Piemonte non c’è selce. Dall’esame delle schegge che sono state fatte saltare si può dedurre che sono stati i cacciatori del neolitico (6-7 mila anni fa) a lavorarlo.” A questo punto, tutto l’ambiente intorno è diventato mille volte più interessante. Si comprese che diversi nomi dei campi, tipo Casa Rotta, Baraggia delle Olle, Ciapei avevano un significato molto specifico dal punto di vista archeologico. Anche il campo di San Damiano dove sono avvenuti i ritrovamenti  si chiama Chiesa Vecchia, benché la chiesa non l’abbia mai vista nessuno. Ma, se gli hanno dato quel nome, un motivo ci sarà. Non va dimenticato che a San Damiano il tempo si è fermato. Tanto per farsi un’idea, la costruzione più recente, che è la Cascina Nuova , esisteva già nel 1580; lo sappiamo grazie all’archivio parrocchiale.  In quell’anno già si coltivava il riso, c’erano infatti “li campi delli risi.” Quindi, se la chiesa del campo viene definita vecchia, significa che è veramente assai vecchia. Il nostro territorio, in antico, era molto diverso dall’attuale. Parliamo del tempo dei cacciatori del neolitico (6-7 mila anni fa), quando la maggior parte del territorio era coperta da una foresta impraticabile, non c’erano strade, in quanto le strade di quel tempo erano i fiumi. Per spostarsi, costruivano delle canoe scavando dei tronchi e con tali imbarcazioni seguivano gli spostamenti degli animali che cacciavano. Tutti i più antichi insediamenti, infatti, hanno un elemento in comune: sono vicini all’acqua. Proseguendo lungo l’Elvo, due chilometri più a monte, si arriva alla frazione Arro di Salussola, dove un campo a sud della frazione si chiama, pure quello, “Chiesa Vecchia”. Nel 2005, stavano scavando per portare via la ghiaia, quando lungo gli scavi sono comparsi due ciottoli sporchi di malta. Ottenuto il permesso per indagare, dopo pochi giorni sono emerse le stupende mura della chiesa del X° sec., bellissima, con il campanile e le sepolture dentro e fuori. A quel punto è intervenuta la Soprintendenza, i lavori di scavo proseguirono e così tutti gli abitanti furono orgogliosi di aver ritrovato la loro chiesa, con prime pagine sui giornali: una bella storia. Anche a San Damiano è stata informata la Soprintendenza e si è scavato insieme.  Sono emersi splendidi reperti che aspettano di essere restaurati ed esposti, auspicando che trovino spazio idoneo in una apposita sala nel comune di Carisio. I tempi però si prospettano lunghi e, al momento, in attesa di una sistemazione definitiva, si trovano ancora a San Damiano, meta di visite di diversi appassionati e di scolaresche, che imparano una pagina importante della nostra storia, non  ancora scritta sui libri di testo. Per quanto riguarda Santhià, è stato fatto un ritrovamento alla cascina Salute, dove sono emerse ceramiche di epoca romana; alla cascina Pragilardo invece, è emerso un tintinnabulum in bronzo, di epoca romana anch’esso, unico al mondo, conservato al museo Leone di Vercelli.

Carisio 1 gennaio 2011.

Pier Emilio Calliera

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